ll Cimitero Monumentale di Torino: un viaggio tra i ricordi dell’ “altra città”
L’atmosfera profondamente sacra e singolare che si respira varcando i cancelli di un cimitero è stata descritta, per la prima volta, quando ti ho dato testimonianza dalla mia visita alla Certosa di Bologna, che ancora oggi ricordo con grande suggestione. Così non ho esitato a conoscere anche la storia dell’immenso cimitero di Torino, quello da tutti definito inizialmente “generale”, che rappresenta proprio “un’altra città”, quella dei suoi defunti più o meno illustri, delle radici più intime, delle diverse storie di quotidianità spezzate nel tempo, dei momenti storici indissolubili. Nel 1776 una immensa ondata di caldo spinse Vittorio Amedeo II a vietare le tumulazioni in città, che spesso avveniva per alcuni sotto i pavimenti delle chiese e per altri in bare lungo le pareti delle stesse. Inizialmente i cimiteri di riferimento erano due: San Lazzaro e San Pietro in Vincoli, ma nel 1827 si approvò il progetto di un’area ben più estesa nella zona del Regio Parco, ad opera dell’architetto Gaetano Lombardi (1793-1868) che scelse di edificarlo nei pressi della Dora, in una zona un po’ defilata. Così l’origine viene fatta coincidere con il parco delle Mezze Lune, grazie soprattutto all’attenzione del benefattore, il marchese Tancredi Falletti di Barolo, che si accollò un discreto finanziamento per la sua realizzazione. La struttura del cimitero era a pianta ottagonale e prevedeva una cappella e altri edifici neoclassici. Il 5 novembre 1829 l’arcivescovo di Torino, Colombano Chiaveroti la benedisse ed essa diventò, ben presto, il cimitero generale della città. Il passaggio alla definizione di “monumentale” avvenne in modo quasi consequenziale. La città di Torino accolse per anni quei cittadini che contribuirono al suo splendore e progresso e per celebrarne l’immortalità si pensò di costruire per loro, monumenti in marmo o bronzo, che ne evidenziassero le virtù e le opere. Così anche la Casa Reale si prodigò ad “arredare” piazze, e giardini, dando vita a quella che molto presto divenne la “città più monumentata d’Italia”. Di qui il tutto si trasferì al regno dei morti, a quell’altra dimensione architettonica che ben presto divenne la casa eterna di quei defunti, tra piccoli templi e tombe sontuose di grande impatto artistico, tanto da rendergli l’appellativo di cimitero “monumentale” o più semplicemente il Monumentale, come oggi è riconosciuto da tutti i torinesi.
Il primo ampliamento significativo avvenne 10 anni dopo la sua costruzione, progettato da Carlo Sada per riunire le generazioni del periodo risorgimentale e dell’unità di Italia. Nel 1882 venne costruito, invece, uno dei primi tempi crematori in Italia. Le tombe dei primi di Novecento spiccano per il loro carattere storico-militare e riprendono lo stile tipico dell’Art Noveau, come la tomba Geisser, che appare “su una parete semicircolare chiusa da un nastro floreale in bronzo”, opera del torinese Davide Calandra. Nel 1906 venne costruito, al centro della quinta ampliazione, il famoso mausoleo del torinese Francesco Tamagno (1850-1905), la cui costruzione “in calcare di Botticino e bonzo, si ispira a un monumento eretto ad Atene da Lisicrate, in onore di una vittoria dei giovani cantori”. La costruzione, ideata da un progetto di Ranieri Arcaini, è a pianta quadrata, con una scala d’accesso che termina con due sfingi a guardia dell’ingresso. Colpita da un fulmine nel 1986 venne riconsolidata nel 1999 e oggi resta uno dei simboli spirituali più ricercati e riconosciuti da tutti. La notte del 13 luglio 1943 il cimitero venne bombardato e subì diversi danni come quello del porticato su corso Regio Parco, alcuni altri interni, o la stessa chiesa e diverse strutture. L’ultimo ampliamento, infine, ospita i combattenti per la libertà e gli ebrei, con una lapide commemorativa.
Quello che colpisce, nell’avvicinarsi a questa realtà così profondamente tangibile di emozioni, è la consapevolezza della ricordo e soprattutto della morte, vista come un elemento inscindibile dalla vita. Si percorrono i viali in una pace irreale, costellata di silenzio e di rispetto per la vita che non c’è più. Non è un “semplice” tour, è la coscienza di una realtà lontana dalla nostra routine, un viaggio che ha nel “tempo” la sua essenza. E’ la “morte domestica” qui presente, che assume soprattutto le sembianze di volti di statue femminili, velate o nell’atto di pregare, che si distinguono numerose, tra le altre. E’ un cimitero che coniuga in modo evidente due tendenze quasi opposte: da un lato la necessità di rendere eterna la memoria di ogni singolo, qui sepolto, e dall’altro il desiderio di onorare dietro ogni pietra, la memoria collettiva di cui tutti facciamo parte e che è la base della nostra identità più intima. Monumenti di uomini solitari e non, di chi ha lottato per una ideologia, con coraggio e determinazione, di chi ha dato la sua vita o di chi semplicemente l’ha vissuta con orgoglio e rettitudine. Da Ferrante Aporti a Fred Buscaglione, da Erminio Macario ad Edmondo De Amicis, dalla mitica squadra del Grande Torino a Primo Levi, da Cesare Lombroso a Silvio Pellico, sono tutti qui, delicati fogli di questo libro di pietra che si legge con il cuore non senza una forte e costante nostalgica malinconia.