Il viaggiatore è creativo?

CERVELLO

“Non c’è uomo più completo di colui che ha viaggiato, che ha cambiato venti volte la forma del suo pensiero e della sua vita”. (A. de Lamartine)
Secondo diverse definizioni, la creatività è la capacità di rispondere in modo fluido e flessibile alle diverse problematiche o ai sempre presenti vissuti che ci appartengono. Si tratta di una caratteristica della personalità che non è sempre evidente in tutti e, secondo molti studiosi, è collegata direttamente all’intelligenza, intesa come capacità di adattamento all’ambiente. Non mi è parso strano, quindi, che sempre più maggiori medici e psicologi attribuiscano al viaggio alcuni benefici specifici. Viaggiare apre la mente, gli stimoli, che nuove conoscenze e il contatto con nuove realtà ci offrono, sono determinanti perché danno valore alla nostra esistenza e alle nostre esperienze. Attenzione, però, stiamo parlando di viaggio e non di vacanza, di viaggiatori e non di turisti. “I viaggiatori sono quelli che lasciano le loro convinzioni a casa, i turisti no”(P.Iyer). Il viaggio porta ispirazione, ci proietta in una dimensione di cambiamento anche e soprattutto a livello mentale, o almeno questo è ciò che sostengono ultimamente alcuni neuroscienziati. In un suo articolo datato 31 marzo 2015 e apparso sul The Atlantic, il giornalista americano Brent Crane, ha ripreso i risultati di alcune ricerche del dott. Adam Galinsky, psicologo sociale americano, relative al legame che esiste tra creatività e viaggio: “Le esperienze vissute all’estero rafforzano sia la flessibilità cognitiva, sia la capacità di approfondire e di integrare i pensieri, la facoltà di stabilire collegamenti profondi tra forme molto diverse”. La nostra capacità cognitiva è determinata in parte dal patrimonio genetico ereditario, ma qualunque input nuovo proveniente dall’esterno, incide profondamente sule connessioni sinaptiche e si trasforma in “linfa”, in energia per la mente.

CERVELLO

Non basta prendere un aereo e partire per diventare più creativi ed efficienti, serve un apprendimento diverso, una disposizione cognitiva alla scoperta e al cambiamento, in sintesi una buona dose di flessibilità. “Viaggiare è una scuola di umiltà, fa toccare con mano i limiti della propria comprensione, la precarietà degli schemi e degli strumenti con cui una persona o una cultura presumono di capire o giudicano un’altra”.(C.Magris). Sostiene, infatti, Galinsky: “La chiave è la disponibilità a farsi coinvolgere, la capacità di immergersi in un’altra cultura e di adattarsi. Chi vive all’estero senza confrontarsi con la cultura locale non riceverà grandi benefici”. Spesso, però, il coinvolgimento non è facilmente attuabile, specie se la cultura è profondamente diversa dalla nostra, che trattiene il soggetto e non provoca in lui il desiderio di vivere una nuova realtà ed essere, quindi, pronto ad un radicale cambiamento cognitivo. Mary Helen Immordino-Yang, professoressa di pedagogia e psicologia alla University of Southern California, suggerisce l’importanza di favorire nuove esperienze interculturali, che porterebbero ad una maggiore autostima e fiducia in se stessi: “..molte ricerche hanno dimostrato che la capacità di confrontarsi con persone provenienti da un altro contesto e di uscire dalla propria zona di sicurezza aiuta a costruire un senso di sé più forte”. Viaggiare diventa condivisione, apertura verso quel qualcosa di nuovo, inesplorato e soprattutto diverso: “Quando ci confrontiamo con altre culture, viviamo esperienze con persone diverse e ci rendiamo conto che quasi tutti ci trattano nello stesso modo. Di conseguenza aumenta la fiducia” (Galinsky). Ma il viaggio non è solo quello che si compie comprando un biglietto aereo e cambiando continente. Il viaggio esistenziale parte da se stessi, si può scoprire una regione diversa della propria anima o semplicemente un quartiere nuovo della nostra città. E’ il voler aprire una finestra sul mondo, qualunque mondo sia, che ci porterà ad essere diversi..e chissà forse anche più creativi.